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Notte Criminale
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“Facciolla era inavvicinabile, ecco magistrati e avvocati che ci aiutarono”. La confessione del collaboratore di giustizia.

di Alessandro Ambrosini
13/09/2021
in 'ndrangheta, Notte Criminale
“Facciolla era inavvicinabile, ecco magistrati e avvocati che ci aiutarono”. La confessione del collaboratore di giustizia.
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di Saverio Di Giorno

Il racconto che state per leggere è frutto di un lungo incontro avvenuto ad inizio anno con l’ex-collaboratore di giustizia alla presenza delle forze dell’ordine. Dopo un interessamento di diversi quotidiani nazionali e le dovute verifiche, per vari motivi nessuno dei quotidiani ha dato il permesso di pubblicazione. Chi siano i quotidiani e le motivazioni del “no” saranno destinate a possibili future analisi. Si è ritenuto comunque che il racconto meritasse di essere conosciuto e per di più in questo clima particolare di campagna elettorale perché questi racconti hanno ripercussioni su vicende attuali: alcuni potentati, gruppi di potere avrebbero la stessa influenza e legittimità politica se alcuni magistrati avessero continuato nel loro lavoro o viceversa se alcuni magistrati fossero stati fermati dove sarebbero ora alcuni nomi o carriere stroncate? Buona lettura.

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Franco Garofalo, per anni al vertice della ‘ndrangheta cosentina vuole ri-parlare dopo anni. Perché e com’è. Questo è il pensiero fisso mentre la vettura delle forze dell’ordine sfreccia tra ignari paesi e i pensieri tra varie carte. Com’è un capo? Beh potrebbe essere scambiato per un qualsiasi cittadino. Del boss gli resta la postura, il controllo dello spazio o forse è la sensazione creata dal luogo adibito all’incontro. Ora è fuori, come dice lui. Quando deve spiegare logiche e meccanismi per bruciare dichiarazioni o pentiti o per spiegare i sistemi di riciclaggio parla in dialetto cosentino, altrimenti invece parla italiano. È una cosa istintiva, psicologica. Evidentemente c’è un prima e un dopo. E bisogna necessariamente partire proprio dal momento del pentimento.

Non è diventato collaboratore di giustizia perché si è pentito dei suoi delitti, o perché cercava di scontare una pena più lieve. Lo ha fatto per delusione e forse sfida. È stato uno dei maggiori boss dell’ndrangheta di Cosenza, dei suoi delitti son colmi verbali pesanti come macigni. Ha parlato, perché aveva subito un torto, l’eliminazione di due parenti, proprio in base a quella legge criminale che lui considerava sacra e che gli dava diritto alla vendetta: privata, feroce, assoluta. Non si poteva per non turbare gli equilibri tra le famiglie e i potentati.   Ora ha saldato i suoi conti.  Eppure decide di nuovo di raccontare, fa nomi dei magistrati e avvocati fiancheggiatori mettendo a disposizione i congegni della furberia forense, politici, massoni tutti legati a una organizzazione di potere con caratteri di Stato, una sorta di classe dirigente autonoma.  Fa nomi di parenti e vecchi amici. Si dichiara disposto a ribadire nomi e fatti ‘a chi fosse interessato’. È una discesa nel pozzo sudicio di un mondo parallelo che segue, e talvolta previene, i passaggi di forze nei gruppi dominanti; in momenti in cui si sono costruite alcune carriere mentre altri venivano isolati e forse oggi pagano conseguenze.

Cosenza ovvero: massoneria, banche, politica e forze dell’ordine

“Sapevo che collaborando mandavo al patibolo persone che mi erano state amiche. Io ero un capo, a Cosenza, contavo. Da noi se ti serve una cortesia possiamo arrivare a chiunque. Avevo bisogno di una perizia favorevole? Andavo di notte a prendere di persona i fascicoli in tribunale… tanto per farti capire … Controllavo le assunzioni all’ospedale di Cosenza dove ho fatto assumere miei parenti, lo avevo raccontato ma loro lavorano sempre lì, i posti non sono mai stati revocati. In banca a Cosenza parlavo con il direttore. Mi serviva la pensione? Chiamo il direttore dell’Inps, si mette sull’ attenti, dice che devo farmi dare almeno il 74 per cento; chiamo un massone, uno dei nostri e sono tanti potremmo parlarne per ore, gente che è in grado di farci arrestare o rilasciare quando vuole, alla fine mi danno il 74 per cento!  Hanno scritto sul parere della commissione che avevo una depressione e disturbo del comportamento. Parlavo di massoni: negli anni ’80 appoggiammo l’onorevole Bruni, diceva che arrivava a Gelli, ora mi pare che il figlio sia in politica. Un altro rapporto particolare lo avevamo con l’onorevole Misasi”.

Allora perché decide di collaborare?

“Per un’amicizia tradita. Roberto Pagano e altri due vanno a casa di mio cognato e lo ammazzano insieme a mia suocera, una questione di droga tra loro. Io indago, tra noi, voglio sapere chi è stato e scopro la verità. Chi me l’ha detta la verità? La polizia di Cosenza, un commissario, tale Guido, che lavorava per noi.  Mi fa sentire le intercettazioni, quelli che parlano: ‘cosa abbiamo combinato! adesso vien fuori un casino’ avevano paura. L’onore vuole che tu, che sei il fratello dell’assassino, Francesco Pagano, vieni da me e mi dici: è successo. Regoliamo. E poi ammazzi il colpevole. E se ti trema la mano perché è tuo fratello, allora chiama qualcuno che la tenga ferma. Lo giuro. Se Roberto Pagano avesse confessato, non lo avrei nemmeno ammazzato, gli avrei tagliato solo un braccio, perché con quello aveva ammazzato. Non ha confessato nessuno. Anzi, Francesco Pagano mi ha risposto che suo fratello non lo dovevo toccare. Mi ha sfidato. Io aspetto che qualcuno applichi la giustizia. Sì la giustizia. Ho fiducia, così deve essere.  È lì che mi hanno tradito. Se le regole non funzionano più allora che cosa serve la organizzazione, le gerarchie, i capi, le regole, obbedire, uccidere? È il caos, è la guerra dei fratelli.  Non c’era più modo di continuare. Francesco Pagano lo ammazzo io, ci vado con la mia auto ad ammazzarlo. Poi butto via la pistola…il fratello aveva paura…”

Il sistema Cosenza

In questo clima escono decine di pentiti. Nasce un grande processo, il Garden; uno snodo fondamentale in questa storia. Come è andata?

“Di me non avrebbero mai immaginato che decidessi di collaborare… sono stati colti di sorpresa… allora fanno scattare la strategia dei falsi collaboratori. Un modo per limitare i danni. Sono gli avvocati stipendiati da noi, uno come Marcello Manna, Pugliese, Sorrentino ad esempio, che dirigono tutto, montano la strategia dicendo di fare dissociazione. Poi c’erano Sammarco, D’Ippolito tutti stipendiati … L’importante è non prendere l’ergastolo perché a conti fatti in Italia alla fine ti fai diciannove anni.  Il falso dissociato deve accusare ma come dico io, in maniera morbida. Così io prendo poco mentre magari una settimana prima un altro per lo stesso reato prende dodici anni. Problemi a Cosenza non ne abbiamo mai avuti per questo. Ci fu una grossa operazione, tutti a processo il pm era Mollace e vengono condannati al 416 bis. Cosenza era 416 bis! Subito dopo scatta operazione De Rose gli stessi magistrati che hanno certificato 416 bis derubricano tutto, 416 normale e se ne escono testuale ‘Cosenza è isola felice’. Perché? Era in atto una pace. Siglammo tra capi un accordo davanti al locale ‘Due Palme’ perché sotto lo studio di un avvocato vicino al procuratore Nicastro. Chi doveva sapere era stato informato…” In effetti alcuni aspetti trovano conferma anche in deposizioni di altri pentiti, come Bevilacqua.

Altro che Cosenza felice. Anzi Cosenza è buona per consumare delitti nel silenzio generale. Stuzzicato sul caso Bergamini spinge ad una riflessione: “non mi posso spingere a parlare oltre o di cose non documentabili, ci sono anche procedimenti in corso, ma un aspetto è logico: se un omicidio si può commettere in un luogo, ma viene commesso in un altro è perché là ci sono le giuste coperture, questa è logica.”

I magistrati

Torniamo al Garden e alla strategia. Che ruolo hanno di preciso i magistrati?

“Non funziona questo sistema senza i magistrati. Se ne fregano, dichiarano collaboratori gente che racconta evidentemente delle assurdità.  Un esempio? Umile Arturo racconta un omicidio in modo sballato. Il giudice lo ascolta e lo promuove collaboratore… nonostante le cazzate!  Devi stare attento in queste faccende perché se non ci sono riscontri il programma di protezione ti sbatte fuori e allora sei morto. Ma ci sono giudici e giudici. Arriva un altro giudice Eugenio Facciolla, lo interroga e lo fa arrestare: era un bugiardo. Ecco: Facciolla cercava riscontri verificava persino che il meteo coincidesse con i racconti dei collaboratori.  Quello è uno che non puoi avvicinare. Non era il solo… Calderazza, Onorati. Con loro non baravi … Invece si fanno operazioni blitz solo per poi smontarle e cosa resta? I titoli dei giornali”.

Chi ad esempio?

“Prendi l’operazione Azimuth, il pm Luberto. Tralasciando la gestione degli interrogatori, senza avvocati, ma insomma … io non è che non mi fidavo di Luberto, ma al cognato, Barile, recuperai quasi un miliardo poiché era sotto estorsione. Gli fu fatta una rapina e mi manda a chiamare. Mi faccio restituire tutto e andiamo a casa di un segretario o consigliere regionale, ora non ricordo, Bernardi. Gli porto il borsone e lo restituisco … Luberto varie volte entrando nel discorso … mi chiedeva se si era chiarita la faccenda e io cercavo di sviare.”

Ecco perché parla. Si è accorto che le rivelazioni che aveva fatto anni fa su magistrati e gli avvocati ad esempio, che nessuno gli ha contestato come infondate, sono rimaste lettera morta. E nonostante vecchie ispezioni ministeriali (quella Lupacchini ad esempio) e le recenti inchieste aperte dalla procura di Salerno, molti di loro hanno fatto carriera. In politica o in magistratura. Nonostante, anche, alcuni episodi inquietanti su cui Garofalo chiude lasciando interrogativi pesanti. Su questo in particolare c’è addirittura un’interrogazione parlamentare.

“Io ero già collaboratore ma dovevo recuperare dei soldi che avevo prestato a usura. Lo dico al giudice, Mario Spagnuolo, che devo recuperarli. Lui mi dice di parlarne a uno delle forze dell’ordine e mi dà il nome, tale Giurgola, faccio così… sono andati i carabinieri a riprendere i miei soldi! Spagnuolo una volta chiese addirittura l’indirizzo dei fratelli Vitelli e lui non poteva farlo. C’era una guerra tra Cosenza e Catanzaro … Quando fu chiamato dal pm Lombardi a Catanzaro con delega ai magistrati di Reggio Calabria rimasi senza parole come resto ora senza parole. Se parlavo dell’usura a Facciolla quello mi buttava sulla strada, altro che programma di protezione. Facciolla è uno che mi ha fatto prendere molti anni di carcere …adesso ho letto che è indagato per corruzione… questo mi pare strano, molto strano, era uno che no guardava in faccia nessuno.  Ma da un po’ si vedono cose strane e lui era uno che si era fatto molti nemici. Io queste cose sono pronte a ripeterle…’’

A Cosenza si saldavano e si saldano ancora forse equilibri (è mai arrivata una grande inchiesta?), si vedeva chi era disposto e chi no e forse chi poteva far carriera e chi no. Facciolla probabilmente si mette di traverso. Altre cose le racconterà su Spagnuolo e gli ospedali Tursi Prato in un dibattito che porterà ad una sentenza di condanna in appello. In tale procedimento fu poi avvicinato il giudice Petrini che sappiamo che fine ha fatto ora.

Controesame Tursi Prato

Quello che scandalizza è che questi sono solo alcuni episodi, che Garofalo appunto ripete e che lui e pochi altri avevano raccontato. Nessuno è andato oltre. Ora li ripete e chissà forse è disposto ad aggiungerne altri, con particolari, documenti. Dopo anni c’è qualcuno interessato?

Tags: 'ndranghetapoliziaCosenzacollaboratore di giustiziaOtello LupacchinimassoneriaintervistalocaleEugenio FacciollaBarileDue PalmeFrancesco PaganoFranco garofaloGiurgolaLubertoMarcello mannaMario Spagnuoloonorevole Brunionorevole Misasioperazione Azimuthoperazione De Roseoperazione Gardenpm Lombardiprocuratore NicastroPuglieseRoberto PaganoSammarcoSorrentino
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