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M22/ Michele Senese. Faccia a faccia con il re “pazzo”

di Alessandro Ambrosini
08/12/2020
in Notte Criminale, Roma
M22/ Michele Senese. Faccia a faccia con il re “pazzo”
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di Alessandro Ambrosini

La pazzia, nell’ambito criminale, è sempre stata difficile da valutare. L’essere considerato pazzo è stato, per molti boss, e criminali di varia “statura professionale”, uno dei grimaldelli da usare per uscire dai penitenziari di alta sicurezza o cercare un relativo conforto negli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). Più recentemente nelle cliniche psichiatriche.

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E’ una sorta di ultima ratio, per la maggior parte di chi cerca una scappatoia. Una modalità di fuga senza rischi. Non sempre agevoli, soprattutto in passato. Finire in un Opg era patteggiare la reclusione con ambienti difficili da vivere, dove c’erano pazzi veri. Ma è sempre stato più confortevole e agevole, soprattutto per riuscire a mantenere il controllo esterno del potere, per riuscire a comunicare con familiari e sodali, per fuggire più facilmente, se l’infermità mentale tardava ad arrivare.

E’ storia criminale quella di cui stiamo parlando. Storia criminale che ha interpreti di spessore: dalla mafia alla camorra, soprattutto. Ma è una storia che parla anche di medici corrotti, periti prezzolati agli ordini di cosche e clan. Il caso più emblematico e famoso è forse quello di Aldo Semerari, uno dei guru della psichiatria italiana. Uno dei periti più influenti a Roma. Quello che lavorava per la Banda della Magliana, per i clan di camorra e anche per i servizi segreti. Un mix letale, per “il professore”, come lo chiamavano.  Un mix che lo portò a morire con la testa mozzata. Il famoso psichiatra, infatti, fece l’errore di lavorare contemporaneamente sia per la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e sia per la Nuova Famiglia di Umberto Ammaturo. I due contendenti di una guerra sanguinosa, senza esclusione di colpi.

E’ proprio in questo contesto di guerra che nasce la figura di M22, Michele Senese detto ‘o pazzo. Ma non è la sua storia criminale che ci interessa particolarmente e che potrete trovare qui . E’ il suo “faccia a faccia” con l’aggettivo che lo distingue, che è interessante: ‘o pazzo. Da cosa deriva? Quali e quante volte ha cercato di evitare la  galera con il suo essere borderline, con il suo avere dei disturbi antisociali, con l’uso furbesco della sua ignoranza per essere considerato mentalmente ritardato? Quanto ha imparato dai veri “pazzi”, l’uso dei comportamenti da pazzo? Tutte domande lecite, soprattutto quando le perizie sono sempre state discordanti, e forse un po’ troppo buone, con il boss che comanda le strade di Roma.

Immaginatevi ora di essere seduti su una sedia e averlo davanti a voi. Michele Senese ha da poco compiuto sessantatré anni, molti dei quali passati in galera.  E’ il secondogenito di otto fratelli nato da una madre casalinga e dal padre ambulante. Ha un fisico in buone condizioni, con un peso normale e non sembra abusare di alcol e droga. Non più almeno. Non lo troverete elegante o eccessivo nel vestiario. Non si cura molto nell’immagine ma come persona è pulita. Seduto davanti a voi, non troverete qualcuno poco propenso a rispondere, o aggressivo nei vostri confronti. Anzi, sarà rilassato. Forse impassibile e sospettoso ma, fondamentalmente triste. Non una tristezza profonda e vera, ma di comodo. Che nasconde, nel guizzo dei suoi occhi, l’inganno.

A otto anni ha sofferto di tubercolosi polmonare e per questo ha fatto tre anni di sanatorio. Un luogo che l’ha segnato, visto che è lui stesso ad ammettere che la famiglia l’ha “persa” quando è tornato a casa, poiché cercava di scappare sempre. Poi il primo colpo d’arma da fuoco che lo ferì all’addome, aveva sedici anni. Da lì al carcere il passo è stato breve. A diciannove il primo arresto per furto e rapina. Da lì non si sarebbe fermato più.

Lo guarderete e lo troverete come vi aspettereste una persona abituata ad essere analizzata e studiata, per capire se può o non può intendere e soprattutto volere. Se ciò che ha fatto, nel tempo, era nelle sue facoltà mentali. Se quando organizzava traffici internazionali di cocaina con il Sudamerica, era o non era cosciente. Se quando ha ucciso, o ha ordinato di uccidere, sentiva o non sentiva voci che lo spingevano a togliere delle vite. Lo troverete con lo sguardo perso nel vuoto, sfuggente, vigile. Con una coscienza lucida, con distrazioni misurate e temporanee.

Non troverete il fare chiassoso ed esagerato dei guappi cinematografici, troverete il camorrista con un linguaggio adatto alla circostanza: monotono, lamentoso e trascinato. Con un ritmo normale e mai incoerente nelle sue risposte, sempre molto centrate rispetto alle domande. Troverete un uomo che ha fatto la quarta elementare,  a cui non piace leggere. Ma lo troverete nel pieno della sua volontà. A volte falsa, come quando dirà di essere molto vicino a Dio, ma che non lo fanno andare a Messa. Senza spiegare chi o perché.

Non è mai stato fuori dalla realtà, Michele Senese. Ha sempre distinto anche i vari Opg in cui è stato: da Barcellona Pozzo di Gotto, il suo preferito, ad Aversa, dove lui dice che lo legavano. Fino a Montelupo, che trovava poco professionale per le sue cure e poco organizzato, visto che lo mettevano in stanze da quattro: “Io devo stare da solo dato che litigo con tutti, non posso stare con altri, alla fine lo capivano e mi mettevano da solo ma a Montelupo non lo hanno fatto”.

Lo troverete evasivo quando chiederete del suo passato criminale. Sa bene che è difficile, per lui, sminuire troppo ciò che ha fatto. E non solo per una questione di orgoglio, ma per quel “codice criminale” che lo deve elevare rispetto ai “quaquaraquà”. E risponderà “lateralmente”, mischiando verità e voluta mistificazione dei fatti: parlerà del sindaco di Afragola come responsabile di tutto, senza argomentazioni o prove, chiaramente. Dirà frasi senza dare una connotazione precisa, lasciando intendere: “Non è stata colpa mia, non ho fatto niente, mi facevo rispettare”. E’ questo ciò che risponderà alla domanda sul suo ruolo nella guerra di camorra che ha vissuto, aggiungendo che” però non comandavo” e “ ci sono quelli che perdono potere restando rinchiusi”, cercando di smarcarsi dal suo ruolo odierno.

Cercherà di far ricordare il fatto quando nel luglio del 1977 è stato riformato dal distretto Militare di Napoli per turbe nevrotiche comportamentali in personalità psicopatica, i ventuno periti che tra il ’79 e il 2010 si son divisi tra chi gli riconosceva la schizofrenia e chi lo escludeva. Con l’unico comun denominatore della sua spiccata personalità antisociale. Cercherà, ma rimarrà impigliato nella stessa rete che lui si è costruito negli anni. La stessa rete che lui ha usato per crearsi una posizione mai subalterna, anzi. Ha usato proprio le sue debolezze mentali per accrescere il suo prestigio e la sua forza tra gli affiliati, che hanno sempre creduto a una finzione.

Per questo, in quella sedia nessuno di voi si siederà mai. Perché il suo posto è al carcere di Opera (Mi) e la sua lunghissima messinscena è stata svelata in quell’aula della corte d’Appello di Roma, nel 2010. Non è riuscito a fingere di perdere la volontà di difendersi dagli attacchi del pm. Una mossa che ha dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, la capacità di stare in giudizio. Questo è Michele Senese in ciò che non è mai stato scritto, questo è M22, il re di Roma criminale.

Tags: camorraomicidioBanda della Maglianatraffico di stupefacenticarcereMichele SeneseBarcellona Pozzo di Gottomala romanaAldo SemerariAversaborderlinem22MontelupoNcoOperaOpgperitiperizieRaffaele CutoloschizofreniaUmberto Ammaturo
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