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Perché Gaudenzi non può essere un (vero) sodale né “il Cassiere” di Massimo Carminati

di Alessandro Ambrosini
11/09/2019
in Notte Criminale
Perché Gaudenzi non può essere un (vero) sodale né “il Cassiere” di Massimo Carminati
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di Beatrice Nencha

Cosa lega il Fabio Gaudenzi in passamontagna (raffinata citazione di Diabolik) al Massimo Carminati di “Mafia capitale”? Siamo andati a spulciare nei verbali dei Ros tra i numerosi episodi e incontri del Nero, che dalla cella attende con ansia la pronuncia della Cassazione attesa il 16 ottobre, e abbiamo rintracciato due episodi significativi, e forse indicativi dei rapporti realmente esistenti tra l’ex Re di Roma (secondo l’accusa) e quello che un tempo i neofascisti chiamavano “Rommel”. Il primo episodio è legato a un supposto regolamento di conti, una sorta di “ammonimento”, che Carminati intende attuare nei confronti di tale Danilo, reo di aver infastidito una delle amicizie a lui più care, ovvero Lorenzo Alibrandi, fratello dell’ex Nar Alessandro, morto durante uno scontro a fuoco con la polizia stradale Il 5 dicembre 1981.

Il 5 agosto 2013 attraverso un’intercettazione ambientale nel bar di via di Vigna Stelluti, gli investigatori censiscono una conversazione tra lo stesso Carminati e Fabio Gaudenzi. Il Cecato chiedeva al Gaudenzi di identificare  un uomo di circa 50 anni, di corporatura robusta e originario del quartiere romano di San Giovanni, il quale si era premesso di comportarsi in maniera arrogante nei confronti di “Lorenzino” Alibrandi, presso lo stabilimento di Castel Fusano da lui gestito. Secondo la ricostruzione fornita dall’accusa al processo, smentita dalla ricostruzione del legale di Carminati, sarà lui stesso a recarsi personalmente, nello stabilimento di Lorenzino, per “riprendere” tale Danilo, facendogli capire come quello fosse sotto la protezione sua e del sodalizio: “Ho dovuto annà a cercà da solo…” . Tuttavia, secondo le risultanze, nessuna banda si sarebbe occupata della vicenda, che pure interessava un soggetto legato a Carminati da vincoli quasi famigliari. Perché è lui stesso a lamentarsi di averlo dovuto fare di persona.

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Il secondo episodio, che coinvolge più direttamente Gaudenzi, sarebbe quasi tragicomico, se non coinvolgesse Carminati, e il suo storico sodale Riccardo Brugia (anch’egli in carcere per 416 bis), in una sfortunata avventura imprenditoriale in Africa, di cui il Gaudenzi si fa garante per conto di Filippo Maria Macchi,  non a caso tra i soggetti minacciati di morte nel secondo video (non diffuso pubblicamente) realizzato dall’amico di Fabrizio Piscitelli. Questa la ricostruzione della vicenda, sempre nelle carte e nelle dichiarazione rese in Aula nel corso del maxi-processo Mafia capitale.

Macchi e Gaudenzi si incontrano, per caso, in piazza Euclide tra gennaio e febbraio 2014. Il primo spiega al secondo di essere impegnato in un’operazione finanziaria nel campo dell’importazione di oro dai Paesi africani. Racconta che gli mancano 60 mila euro, oltre ai 200mila necessari di cui è già in possesso. “Qualche giorno prima della partenza per l’Africa, prevista per il 30 aprile 2014, preoccupato perché a causa dei 60mila euro mancanti poteva saltare il business, chiesi un prestito a Gaudenzi” fa mettere a verbale Macchi.

Nella circostanza, Gaudenzi  si rende disponibile a fare da intermediario tra Macchi e Carminati per chiedere il prestito dei 60mila euro. Carminati vuole incontrare il giovane e il 28/29 aprile 2014  si reca all’appuntamento con entrambi  ancora presso il bar di Vigna Stelluti.  Macchi spiega a Carminati i dettagli dell’operazione e alla fine lo persuade della bontà dell’investimento, tanto che il Nero gli dice testualmente “Mo’ te dobbiamo trovà sti soldi” . All’incontro partecipa anche Brugia e l’accordo si conclude con una loro compartecipazione nel capitale di 30mila euro.

In un altro bar pizzeria nei pressi di via Sannio, Gaudenzi e Macchi incontrano Raffaele Bracci, altra amicizia cameratesca di lunga data del Cecato. Macchi porta con sé orologi e preziosi per cercare di ottenere in prestito gli altri 30mila euro mancanti. Ma Bracci è infastidito e a Gaudenzi, che vuole vendere gli orologi, spiega: “Non se prestano i soldi agli amici”. Tuttavia, alla fine prende due Rolex in garanzia e concede il prestito il giorno successivo.

Il 30 aprile 2014 Macchi e Gaudenzi partono con i 60mila euro racimolati dagli “amici” di Roma Nord dall’aeroporto Roma Ciampino alla volta del Gambia. Ma l’operazione finanziaria si rivelerà una truffa e, tentando di rimediare alla stessa, i due prolungano il soggiorno in Africa fino alle metà di agosto 2014.

A causa del fallimento completo dell’operazione, Macchi rientra in Italia e riparte subito dopo per il Brasile, dove ha altre attività imprenditoriali. Rientra in Italia agli inizi di gennaio 2015 e tramite i media apprende dell’operazione “Mafia capitale” appena scattata.  A domanda degli inquirenti, Macchi risponde: “Non ho restituito i 30mila euro a Carminati  perché sono partito l’8 settembre 2014 alla volta del Brasile per tornarvi i primi giorni di gennaio 2015”. A Bracci, tramite Gaudenzi, manda suo zio a  portare scatole e garanzie degli orologi dati in cauzione del prestito oltre a 3mila euro, “come negli accordi preliminari”. Mentre per quanto attiene ai 30mila consegnatigli da Brugia (quelli investiti anche da Carminati) “allo stato, io non ho ancora materialmente restituita la somma in denaro” afferma. Ma per la restituzione del prestito a Carminati, “gli accordi prevedevano  la restituzione del 10% della somma pattuita al termine dell’operazione in Africa”.  Operazione che doveva durare, nei piani, circa 20 giorni. Così nei primi giorni di settembre, Gaudenzi lo accompagna al distributore sulla Cassia e lì Brugia gli da un out out dopo essersi fatto raccontare quanto accaduto in Africa: “Per i 10mila euro c’è tempo ma i 30mila dammeli prima che puoi perché altrimenti la considero come una truffa a me”, specificando che il garante del prestito è Gaudenzi, e nel caso di non restituzione se la sarebbe presa con lui.

Anche questo secondo episodio, che rivela comunque contatti di affari tra Gaudenzi e il giro più stretto di Carminati, dimostra che il rapporto non è però quello di un soggetto considerato “alla pari”. Semmai di un gregario o comunque di un personaggio a cui viene accordato un certo credito, ma con tutte le precauzioni del caso. Tanto che il Nero gli affida solo metà della cifra richiesta, nonostante non avesse problemi di cassa a trovare tutti i soldi necessari all’impresa, e lo impegna a trovare una doppia garanzia, da un soggetto terzo come Bracci. Difficile – almeno da questi due episodi ben documentati- immaginare l’ex camerata amico di “Kapplerino” e “Diabolik” come un personaggio di pari statura rispetto al “Re di Roma”. E tantomeno immaginarlo come il suo presunto “cassiere”, altrimenti non avrebbe avuto bisogno di elemosinare alcun prestito per imbarcarsi nel rovinoso affare africano. Ma queste sono solo un paio di considerazioni logiche. Fuori dalla logica, scattano la narrazione e l’auto-narrazione. Dove chiunque può invocare – anche solo da usare come salvacondotto personale – la carta di essere un “sodale” del Boss. Proprio come all’epoca dei Nar – quella rievocata all’inizio del video da Gaudenzi ricordando il suo legame con il defunto Elio Di Scala o con i fratelli Carroccia – chiunque tra “i guerrieri senza sonno” poteva rivendicare a loro firma qualsiasi azione eversiva o omicida.  Fu una strategia che funzionò egregiamente per coprire molti, e spesso anche per depistare le indagini.

Ed è lo stesso Gaudenzi a confessare proprio a Macchi, prima della loro disastrosa avventura africana, l’importanza di rivendicare l’appartenenza a un gruppo, come trascrivono sempre i Ros:  “Nella circostanza, l’indagato narrava che, una volta giunto presso la casa circondariale di Regina Coeli poiché coinvolto nella rapina in cui aveva perso la vita il suo complice Elio Di Scala (detto “Kapplerino”), ricevette assistenza (paralizzato com’era per via di una grave lesione riportata a sua volta) e solidarietà da tutto l’ambiente carcerario per il solo fatto di essere messo in relazione con il defunto e – per suo tramite – con il Carminati. Il fenomeno, tanto evidente da aver suscitato lo stupore del personale della Polizia Penitenziaria, riguardava non solo “vecchi amici”, ma “anche persone che anche non conoscendo però sapevano..”.

Oggi, con la sentenza della Cassazione alle porte che per Carminati e tutti gli altri suoi presunti sodali diventa vitale, Gaudenzi sembra aver fatto male i conti. Citando invano, secondo certi ambienti legati al mondo di Roma Nord, il nome del Nero. Oppure, “se il suo è stato un calcolo per salvarsi il culo” come altri affermano, dovrà tirare fuori argomenti più che convincenti per la Procura e la Dda della capitale. Perché questa volta, in carcere, non avrà vita facile. Nemmeno evocando come mantra tutto l’album di famiglia dei suoi amici camerati.

 

Tags: Romamafia CapitaleMassimo CarminatiDiabolikFabrizio Piscitelliriccardo brugiaAfricaCarrocciacontrabbandoElio DI ScalaFabio GaudenziFilippo Maria MacchiGambiaKapplerinoLorenzo AlibrandioroRaffaele BracciRommel
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