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Fine pena per Ennio Rigato, il “rapinatore” della Mala del Brenta. Fine pena mai per i familiari delle sue vittime

di Alessandro Ambrosini
28/02/2019
in Felice Maniero, Il Patto Veneto, Nord Est
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di Alessandro Ambrosini

A Creazzo, un paese in provincia di Vicenza, , solo una lapide commemorativa rimane a ricordare che il tempo, per certe cose, non passa mai. Anche l’insegna della Banca Popolare è stata sostituita da quella di Banca Intesa. Un segno che dimostra che anche le presunte certezze scivolano via. Tranne il dolore per chi è stato strappato alla vita da persone che alla vita stessa hanno dato sempre poco peso. Quello rimane un punto fermo nella quotidianità, nei gesti e nei pensieri di chi vive ogni giorno con il pensiero verso un nome scritto in una lapide commemorativa

E’ questo la giusta premessa alla notizia della scarcerazione di Ennio Rigato. Uomo di Mala, cognato di Felice Maniero e capo della “batteria” di rapinatori che assaltò a colpi di kalashnikov la filiale della Banca Popolare di Vicenza il 20 aprile 1993. Uscirà domenica, dopo aver scontato 23 anni di carcere. Dopo che, in quel giorno di primavera, imbracciando l’Ak47, tolse la vita al giovane agente di polizia, Loris Giazzon e lasciò in carrozzella il suo compagno di pattuglia, Maurizio Cesarotto. Condanne ben più definitive rispetto a quelle del Tribunale nei confronti del rapinatore.

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LA STORIA 

Sono quasi le quattro del pomeriggio, è l’orario di chiusura della banca. Gli ultimi clienti si affrettano ad entrare in questo mercoledi d’aprile. Tutto sembra ovattato dall’ordinarietà del tram tram quotidiano: frusciare di banconote che vengono contate, stampanti che gracchiano mentre producono saldi e pagamenti effettuati, un quasi religioso silenzio davanti alle casse. Tutto normale.
A rompere, a infrangere quel torpore è lo sfondamento della porta principale dell’istituto. Un camioncino, con tre pali legati insieme e usati come ariete, viene lanciato a tutta velocità contro la filiale Bpvi. Tre banditi entrano armi in pugno. Armi pesanti, armi da guerra: kalashnikov Ak 47, un must in quel periodo e quasi una firma sugli autori della rapina.
Non era un commando di sprovveduti o di “inventati”. Potevano essere nomadi “giostrai” come componenti della Mala del Brenta. Erano loro a importare, da anni, armi dall’est e ne avevano fatte girare parecchie. Maniero era all’apice della sua potenza e il suo esercito era numeroso e senza remore.
Prendono dalle casse 50 milioni mentre qualcuno avverte il 113. Sono minuti quelli che passano, ma sembrano ore per chi è sotto il tiro dei fucili mitragliatori. Dalla Questura parte l’allarme a tutte le volanti e la prima ad arrivare è quella del capopattuglia Giuseppe Giudice e degli agenti Giazzon e Cesarotto.
2014-04-25_231020Loris Giazzon è vicentino, di 27 anni. Una moglie e una figlia che lo aspettano a casa. Vicenza è una città tranquilla tutto sommato. Non è Palermo dove il rischio di morire è all’ordine del giorno. Una famiglia è qualcosa di normale per un poliziotto. Anche per Maurizio Cesarotto, originario di Padova e appena 28enne, la parola famiglia ha un significato nuovo. Si è sposato da poco e da 11 giorni è anche padre. Sono anni in cui il Veneto è tempestato di rapine con il metodo dell’ariete ma gli scontri a fuoco sono rari. I pezzi forti della Mala sono morti o in galera.
La “pantera” arriva veloce e si ferma davanti alla banca. Gli agenti scendono e la cosa non passa inosservata ai banditi mentre stanno uscendo con il malloppo. Si ritrovano praticamente faccia a faccia. Attimi e i malavitosi ritornano veloci dentro l’istituto. Gli agenti non possono sparare, la banca è nel cuore del centro del paese. Troppe persone in strada per rischiare un conflitto a fuoco. La pressione sale nella mente dei rapinatori e seppure tutti “ vecchi arnesi” del crimine, uno di loro, Ennio Rigato, da una finestra inizia a sparare all’impazzata verso gli agenti. I colpi del kalashnikov sono distinguibili da tutto e sono letali come morsi di un serpente dentro la carne. Cadono sotto i colpi sia Giazzon che Cesarotto. Il capopattuglia riesce a nascondersi dalla tempesta di fuoco mentre Rigato urla: “Ne go fato fora do”(Ne ho fatti fuori due).
2014-04-25_230728A queste parole i banditi capiscono che per riuscire a scappare devono prendere degli ostaggi. Sono il direttore Claudio Retis e un cliente, Gian Nico Amabile, i prescelti. Salgono su una “Uno” rossa parcheggiata davanti alla banca e sfrecciano in direzione nord. Incrociano una “gazzella” dei carabinieri nella loro fuga ma il pericolo “ostaggi” fa desistere i militari dall’aprire il fuoco. Riusciranno a fuggire cambiando auto, una Golf già preparata per l’occasione mentre in tutto il Veneto scatta l’allarme e la caccia.
Nel frattempo, davanti alla banca, con l’arrivo di altre pattuglie e delle ambulanze si consuma la fine e l’inizio di un dramma. Sotto un telo bianco rimane, senza vita il corpo dell’agente Loris Giazzon. In ambulanza, a sirene spiegate, la vita del suo collega Massimo Cesarotto è attaccata ad un filo. I proiettili hanno trapassato la schiena lesionando permanentemente la spina dorsale. La sua vità continuerà su una sedia a rotelle dopo ore di intervento chirurgico all’ospedale San Bortolo.

UNA “BATTERIA” DELLA MALA, UNA “BATTERIA” DI MORTE

Era una batteria estremamente pericolosa quella che assaltò la Banca Popolare di Vicenza quel pomeriggio: i fratelli Ennio e Massimo Rigato, Stefano Ghiro e Pasqualino Crosta (confessò nel 96 la sua partecipazione alla rapina diventando collaboratore di giustizia), questi i nomi dei sodali.
Dopo la cattura emerse un secondo omicidio avvenuto pochi mesi dopo la rapina. Era il 20 Ottobre del 1993. A morire quella volta fu Umberto Tacchetto di Sant’Angelo di Piove. Fu freddato con un colpo di pistola e avvolto in una rete in un canale di Cavarzere. Chi lo freddò non fu mai chiaro. Crosta disse che furono Massimo Rigato e Ghiro a ucciderlo ma questo lo seppe da una terza persona e non trovò riscontro. Di consistenza diversa fu la dichiarazione dello stesso Massimo Rigato. Con la frase “Mio fratello ha ucciso due volte” cercò di addossare la colpa a Ennio Rigato che nel frattempo era stato già condannato a 30 anni per l’omicidio dell’agente Giazzon. Neanche in questo caso si trovarono validi riscontri ma la frattura tra i due divenne insanabile.

In questi giorni, dove compare con più chiarezza la presenza delle mafie in Veneto, la legittima scarcerazione di Rigato sembra un monito da non sottovalutare. Sembra un richiamo che parla di una mafia, quella del Brenta, vera precursore di Casalesi, camorristi, mafiosi e ‘ndranghetisti che oggi impregnano la società veneta. Domenica, Ennio Rigato, uscirà dal carcere da uomo libero, che ha pagato il suo debito alla giustizia. Un debito che però rimane inalterato e perenne con i famigliari di Loris Giazzon e con Maurizio Cesarotto.

Tags: NOTTE CRIMINALErapinakalashnikovMala del BrentaVicenzaBanca Popolare di VicenzaAmbrosini Alessandroak 47conflitto a fuocoCreazzoEnnio RigatoLoris GiazzonMassimo Cesarotto
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