di Giancarlo Tommasone
Entrambi sono stati, per loro stessa ammissione, boss incontrastati nel traffico illecito dei rifiuti. Per molta parte delle loro vita sono stati ai vertici di organizzazioni camorristiche; poi hanno scelto di collaborare con la giustizia, accedendo ai programmi di protezione. Una volta interrottosi il rapporto con lo Stato, hanno deciso di avvicinarsi al mondo giornalistico e – cosa assai singolare – in tale frangente, hanno attaccato la politica. Uno si chiamava Carmine Schiavone, ex vertice dei clan dei Casalesi deceduto per cause naturali nel 2015; un altro è Nunzio Perrella, ex boss del Rione Traiano.
Sono molte le similitudini tra i due personaggi, a partire proprio dal mondo da cui provengono, quello delle ecomafie, appunto. Ma il parallelismo continua rispetto al percorso di vita che sia Schiavone che Perrella hanno intrapreso. Un punto di contatto è rappresentato dall’inchiesta Adelphi. Le indagini nascono proprio dalle prime dichiarazioni rese nel 1988 da Perrella a Franco Roberti (ex procuratore nazionale antimafia e all’epoca dei succitati fatti sostituto procuratore della Repubblica a Napoli). L’ex boss ed ex collaboratore di giustizia napoletano dipinge un quadro tragico della situazione: commistioni tra camorra, politica e imprenditoria per sversare in Campania – scelta come immondezzaio d’Italia – i rifiuti tossici della penisola produttiva. «Per 10 anni, dal 1988, abbiamo operato nel traffico illegale di scorie pericolose.